Nemmeno il più pessimista dei tifosi avrebbe pronosticato un finale di stagione così drammatico. Passare nel giro di un anno da una possibile promozione in serie A, ad una lotta per non retrocedere nell'inferno della C. Frutto di improvvisazione e tanta confusione da parte di chi, proprio qualche mese fa, aveva promesso a tutta la piazza almeno i play-off.
Un disastro di proporzioni immani di una stagione iniziata male ma che potrebbe finire anche peggio. Il quarto cambio in panchina è la certificazione di un fallimento tecnico annunciato da un mercato estivo senza logica e uno invernale da peccato mortale. Perché, se è vero che nella vita si può sbagliare, perseverare non può che essere un'aggravante.
Il Bari attualmente è un malato grave, al momento trovare un medico che possa trovare la cura giusta risulta complicato. Ma come si è arrivati a vivere una stagione così disastrosa è facile intuirlo: la causa di tutti i mali si chiama multiproprietà. Una condizione che rischia di compromettere in modo irreversibile l'amore e la passione di una città verso la propria squadra del cuore. Bari storicamente ha una sua identità ma soprattutto una dignità da difendere. Essere, ai fatti, succursale del Napoli è una macchia indelebile, un'onta incancellabile ed una ferita grave che neanche una semplice ma miracolosa permanenza in serie B potrà mai far cicatrizzare.
L’ aspetto più tragico della multiproprietà è che non solo annulla e scoraggia l’essenza del tifoso stesso, privandolo della sacrosanta possibilità di sognare, ma rappresenta una condanna a morte anche per lo sport in generale e per i semplici appassionati. Laddove c è mancanza di ambizione e competizione, non si può più parlare di sport, al massimo di una pellicola cinematografica tanto cara alla Filmauro, in questo caso nemmeno un cinepanettone su cui farsi due grasse risate, ma un thriller con dei risolvi drammatici. Finché regnerà la multiproprietà, a Bari non potrà mai essere portato avanti un progetto tecnico convincente, coerente e duraturo con l'obiettivo di creare basi solide che permettano alla squadra di disputare campionati consoni al blasone della piazza. Questa stagione è la prova, semmai ce ne fosse bisogno, di una instabilità che rischia di compromettere il sostegno anche delle giovani generazioni, sempre più attratte ad realtà.
Una condizione del genere porrebbe portare nel tempo solo l'abbandono dei tifosi. Supporter già provati negli anni da fallimenti e calcioscommesse. C'è bisogno di un cambio radicale, una svolta che liberi la città e i suoi tifosi dal peso di essere la "seconda squadra del Napoli". Ma per farlo occorre un intervento serio e deciso della Figc. E' sconcertante constatare come una città di quasi 400.000 abitanti, che di media regala circa 20.000 spettatori possa essere etichettata come società satellite. Uno schiaffone in pieno volto e un imbarazzo che potrebbe tra qualche mese allontanare la maggior parte della gente da quello che amano di più.
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