Di seguito, una lunga ed interessante intervista rilasciata dal difensore biancorosso, Agostino Garofalo, e divulgata dall'As Bari tramite il servizio, attivo per tutti i tifosi, di Newsletter.
Ecco il testo integrale:
La passione per il calcio trasmessa dallo zio a cinque anni. Poi le prime partite con la Pompeana e quel qualcosa in più, rispetto ai suoi coetanei, che gli ha permesso di andare avanti e di rendere il calcio il suo ‘fortunato’ lavoro. Agostino Garofalo, 27 anni di Torre Annunziata, ci racconta: “Si giocavo a pallone per diletto, con gli amici di sempre. Per strada, nei cortili, dove capitava. Sono cresciuto in un quartiere difficile, dove l’oratorio era un punto di ritrovo sano. Poi ho scoperto il calcio, ed è stata la salvezza per me. La passione che si trasformava in lavoro. Il sogno finalmente in realtà”.
Se non avessi fatto il calciatore?
Credetemi, non ci ho mai pensato. So solo che questo lavoro mi ha facilitato tutto, mi ha dato la possibilità di crescere e di formare una mia famiglia. Se non ci fosse stato il calcio forse mi sarei perso.
In che senso? Come era Agostino l’adolescente?
(Ci pensa un po’, poi continua sorridendo) Quando sono passato nel settore giovanile della Salernitana dormivo in un convitto, dalle suore. Ci veniva a svegliare ogni mattina il rettore per farci andare a scuola. Non ho mai avuto tanta voglia di studiare e per questo mi nascondevo nell’armadio. Un giorno, non vedendomi, incominciò a cercarmi in tutte le stanze. Guardava sotto i letti, nei bagni, dappertutto. Mi trovò in un armadio. Quando l’aprì ci guardammo in faccia ci facemmo una grande risata. Se ci penso ora, mi rivedo veramente scapestrato. Ecco, in questo senso, il calcio mi dato una chance di vita importante. Altrimenti chissà come sarebbe andata a finire.
Ti senti fortunato?
Tanto. A volte mi immedesimo in altri lavoratori e mi chiedo come facciano ad andare avanti con mille euro al mese. Ritengo che siano loro il vero esempio da seguire, la vera forza di questa società. Sono grandi persone.
Parlaci un po’ della tua famiglia.
Sono stato cresciuto da mia madre e i miei nonni. Mio padre ha chiesto il divorzio quando avevo solo due anni. Da allora non l’ho più rivisto e mia madre Mariagrazia ha fatto, per me e mio fratello, anche da padre. Una donna forte che ci ha seguito e sostenuto in tutte le nostre attività, con la giusta severità.
Ora hai una tua famiglia.
Si, una moglie fantastica e due splendidi figli: Stefano di 5 anni e Chiara di 3.
Passioni?
Lo sport in genere. Gioco a tennis e a golf. Mi piace molto, soprattutto in estate, andare a pescare con mio zio. Da piccolo la mia grande passione era collezionare le figurine dei calciatori…
Stefano ha la stessa passione del padre per il calcio?
Mi farebbe piacere, non lo nego. Il calcio oltre ad un lavoro è uno sport che ti insegna a stare con la gente, a vivere in un contesto con regole precise. Però è una scelta che dovrà fare lui. Non lo costringeremo. Dovrà però pensare anche agli studi.
C’è una cosa che rifaresti del tuo passato?
Sposare mia moglie. Senza di lei non avrei avuto la stabilità che ho. E’ il mio punto di riferimento. La conosco da quando avevo 16 anni, ci siamo visti per la prima volta nell’oratorio del quartiere. Da allora non ci siamo più lasciati. Con il tempo ha dovuto accettare di stare accanto ad un giocatore professionista, con gli alti e bassi che questo può comportare. Alla fine sono riuscito a farle accettare il calcio. Non immaginate neanche che battaglia.
Cosa farai a fine carriera?
Mi piacerebbe continuare a lavorare nel calcio. Vi confido che ho avuto già qualche proposta come osservatore dei giovani, ma credo che sia prematuro. Mica sono già da buttare..?!! (sorride).
L’ultimo pensiero per tuo padre. Se lo incontrassi?
Lo saluterei, mi fermerei sicuramente a parlare. Avremmo molto da dirci. Gli direi però prima una cosa: -“Ma cosa ti sei perso...!” Anche se ci ha lasciati è pur sempre mio padre.
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