"Sono io il responsabile". Così, al termine di Bari-Novara, il presidente Paparesta ha voluto addossare su di sè le colpe per un fallimento tutto sommato annunciato, che ha fatto sprofondare un'intera città nello sconforto più acuto. 

Questa volta ha ragione. Se i biancorossi non sono riusciti a mantenere fede, per il secondo anno di fila, alle promesse fatte ad inizio stagione, gran parte dei demeriti sono effettivamente della società e, quindi, del suo massimo esponente. Questo non esime da colpe giocatori e allenatore, ma è evidente come questa sia stata una squadra costruita male e gestita peggio. Sin dai suoi albori, sin dall'avvento di mister Mangia, cacciato miseramente così come il suo successore Davide Nicola. Destini amari a cui presto si dovrebbe allineare quello di Andrea Camplone, allenatore pro-tempore costretto, in questi mesi, a lavorare in e con uno spogliatoio anarchico e senza controllo.

Il destino dell'ex Perugia pare segnato. Paparesta non lo ha difeso ne protetto, nemmeno quando - a gran voce - l'ex Perugia ha manifestato tutta la sua incredulità per alcune prestazioni di una squadra che, evidentemente, nessuno ha saputo educare al sudore, alla fatica e al rispetto. Una squadra presuntuosa e disunita.

A chi toccava l'arduo compito di tenere in riga questi ragazzotti baciati dalla fortuna? Magari al direttore sportivo, che di fatto non c'è. Zamfir, in tal senso, non è mai sembrato sinonimo di garanzia. L'assenza di un vero e navigato diesse si è avvertita nel quotidiano così come nelle varie sessioni di calciomercato, condotte in maniera convulsa e discutibile da Gianluca Paparesta, factotum di una società che, evidentemente, aveva bisogno di ben altre figure professionali al suo servizio. Una scelta scellerata, e presuntuosa, quella di non aver voluto affidare la gestione sportiva a persone competenti, in grado di seguire la squadra e di intervenire nei momenti più opportuni per riportare il gruppo sui binari della correttezza e dell'impegno, che spesso non c'è stato.

Sotto il profilo del marketing e dell'immagine, il club è cresciuto tantissimo. Forse troppo. Di questo va dato atto e merito al presidente, caparbio e ostinato nel voler portare il Bari a livelli certamente più consoni al suo blasone. I troppi affari intrapresi, le troppe attività extracampo consumate hanno però allontanato Paparesta da tutto il resto. Specie dal campo. E' stato questo probabilmente il limite più grande di una società che, sotto tanti altri aspetti, si è saputa contraddistinguere in positivo. 

Imparare dagli errori commessi non è mai troppo tardi. Ma bisogna volerlo veramente. Il consiglio, spassionato, è quello di prendersi alcuni giorni di riflessione per meglio analizzare tutto quello che è successo in questi ultimi due anni. A meditazione finita, però, bisognerà necessariamente passare ai fatti, e ai rimedi. In attesa di novità rilevanti sul fronte Dato', a Gianluca Paparesta non resta altro da fare che spazzare via la cenere e lavorare seriamente al prossimo campionato, da pianificare nei minimi dettagli e non solo sotto il profilo economico e/o istituzionale. C'è una squadra da rifondare, negli uomini e nell'umore. C'è una società da rinforzare, a livello economico e dirigenziale. C'è da ricucire lo strappo con i tifosi, stufi di finire le loro annate in contestazione.  

Sezione: Copertina / Data: Gio 26 maggio 2016 alle 15:00
Autore: Andrea Dipalo
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