Ho 27 anni, vivo lontano da Bari per motivi lavorativi ma sono uno di quelli che ha migliorato il proprio accento stando lontano da casa. Purtroppo (o per fortuna) ho il sangue biancorosso e questo sarà per sempre.

Come per molti, La Bari ha fatto parte della mia educazione. La partita è sempre stata molto di più che un "atto di sport": ho provato gioie immensi e dolori atroci. L'immensità e l'atrocità sono dovuti al fatto che è la mia Squadra, la Squadra della mia città, la Squadra che ha i colori del mio sangue. Nelle ultimissime stagioni La Bari è stata, se possibile, qualcosa di ancora più importante: è stata l’unica cosa che realmente mi faceva sentire barese. Proprio perché sono stato educato con i colori biancorossi, con valori che nello sport trovano la massima realizzazione, vedere i ragazzi giocare, la curva Nord che (come sempre) ribolliva di passione mi faceva stare bene, mi faceva respirare meglio, mi riempiva letteralmente il cuore.

Stando lontano, paradossalmente, vivo una passione ancora più forte: La Bari è diventata probabilmente l’unica cosa che mi ricordava chi sono veramente, lo scrigno che custodisce ciò che di più prezioso ho.

Non è solo una squadra di calcio: è un qualcosa in cui è racchiusa la storia di molti di noi. Sembra una banalità o un’esagerazione ma sono sicuro del fatto che il rapporto con mio padre e con mio nonno (padre di mio padre) non sarebbe stato lo stesso senza di Lei. Ci ha uniti, ci ha fatto passare molti momenti insieme; belli o brutti che fossero, eravamo lì, a vederla e sostenerla.

Quante partite mediocri abbiamo visto insieme, quante volte il nonno diceva: “C cos volìt, chiss so l soldàt”. Però se vincevamo eravamo felici, se perdevamo tristi, non realizzati. Il cuore non batteva al 100%. C’era poco da fare.

Da qualche giorno un bel pezzo del mio cuore ha smesso di funzionare, provo un dolore strano, profondo, come se avessimo perso la partita più importante di tutte.

Non so di chi sia la colpa di tutto questo: forse, se chi ne fosse stato a capo avesse avuto con Lei questo tipo di rapporto, avrebbe agito diversamente o forse, se si fosse parlato meno e fatto di più non saremmo arrivati a vederla morire ora dopo ora con la speranza che un miracolo (di San Nicola??) la salvasse.

Purtroppo noi siamo speciali nel pensare, nella nostra sensibilità, nel vivere la vita ma altrettanto speciali (in negativo) nel non fare, nel lamentarci, nel vedere “come vanno le cose”.

 E come devono andare le cose?

Se tutti parlano e nessuno fa, le cose vanno male.

In questo mondo però prima di tutto bisogna agire, anche con una certa competenza e lungimiranza.

Le auguro proprio questo per il futuro: un investitore (perché ricordiamoci che nessuno fa beneficenza) che abbia un rapporto simile con Lei, qualcuno che le dia vita pensandola come realmente è: forma di Bari e dei baresi. Qualcuno che le faccia prendere forma ricordandosi delle partite viste allo stadio in braccio al proprio padre. Le auguro qualcuno che non la veda anche come parte della sua vita.

Chi può fare faccia, chi può solo parlare, non parli, osservi e La sostenga dentro di sé.

Solo così rinasceremo imparando dai nostri errori, più forti e uniti.

Giulio Capriati

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Sezione: Lettera del Tifoso / Data: Mer 18 luglio 2018 alle 17:00
Autore: Redazione TuttoBari
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