Pane al pane, vino al vino. L'ex ds del Bari Guido Angelozzi non è mai stato tipo che si aggrappa alle pareti scivolose dei sofismi. Lui dice quello che pensa, in un mondo, quello del calcio, in cui a dominare sono stanchi luoghi comuni e la ripetizione estenuante di frasi fatte. La sua attitudine alla sincerità è confermata da questa intervista che ha rilasciato per i nostri microfoni in vista della sfida di venerdì che vedrà i galletti sfidare il suo Spezia.

Direttore, voi siete quinti, il Bari è decimo. Tradotto: voi ai playoff, i vostri prossimi avversari matematicamente fuori. Se qualcuno a settembre le avesse fatto vedere la classifica di oggi, cosa l'avrebbe sorpreso di più?  

"Non mi avrebbe sorpreso nulla. Certamente sono sempre stato sicuro che saremmo arrivati ai playoff. Quanto ai biancorossi, posso solo dire che ognuno ha la posizione di classifica che merita. Ne sono fermamente convinto, le griglie di arrivo non mentono mai".

Ma è più facile fare calcio a Bari o a La Spezia? 

"É difficile ovunque. La gente vuole i risultati e quando questi non arrivano ti critica. Anche io sono stato bersagliato ma non per questo dico che sul Bari incombono troppe pressioni. Semplicemente, la nuova società biancorossa in estate ha sbandierato ai quattro venti di voler andare subito in Serie A, alimentando così grandi aspettative. I risultati non sono arrivati e ora la piazza mugugna. Parliamo di meccanismi che si ripresentano un po' dappertutto. A volte però basta parlar chiaro per evitare fraintendimenti".

Però è anche vero che il San Nicola quest'anno ha preso di mira un giocatore come Caputo mandandolo in crisi. Non sono situazioni facili da gestire per nessuno. 

"Io su Ciccio dico solo che è un giocatore che comprerei subito. Credetemi, è forte. E poi è un professionista esemplare. I tifosi da lui si aspettavano di più ma la stagione del Bari è stata quella che è stata. Le difficoltà della squadra lo hanno travolto e di questo mi dispiace". 

Tornando al suo rapporto con la piazza barese, crede che le sia riconoscente a sufficienza per quello che ha fatto per i galletti, per esempio negli ultimi mesi della passata stagione?

 "É vero, ho fatto dei sacrifici, ma mai pensando alla ricoscenza che avrei potuto avere in futuro. Certe cose le ho fatte semplicemente perchè mi sentivo di farle, senza nessun secondo fine".

L'anno scorso, di questi tempi, il Bari volava. Come è nato quel miracolo?

 "Non è stato un miracolo, innanzitutto voglio precisare questo. Parliamo di un progetto bellissimo nato con Torrente tra mille difficoltà. I giocatori non volevano venire in Puglia per colpa delle penalizzazioni in classifica che ogni anno ci venivano accollate. Lo stesso allenatore è andato via per identiche ragioni.  Mi diceva sempre: direttore, qua ci vengono tolti continuamente punti. L'offerta della Cremonese fece il resto".

Ci parli dell'idea Alberti-Zavettieri. Ha rischiato moltissimo. 

"Ma non è vero: per la piazza era un rischio, ma di certo non per me che conoscevo i due. Sapevo che potevo fare affidamento su di loro. La squadra che avevo costruito era forte, bastava affidarla a uomini di buon senso e tutto sarebbe venuto da sè. Guarna, Sabelli, Cappitelli, Polenta, Calderoni, Defendi, Romizi, Sciaudone, Galano, Joao Silva, Nadarevic: mica male, vero? E le confido questo: io ai playoff ci ho sempre creduto, sin dall'inizio del campionato, solamente che non potevo dirlo. La rosa era di assoluto valore e ne ero ben consapevole". 

A un certo punto avete cominciato a vincerle tutte. Ok, non parliamo di miracoli: ci spieghi però cosa rese quella squadra improvvisamente una macchina da guerra. 

"Avevamo qualità da vendere, innanzitutto questo. Forse non tutti ricordano che già nel girone di andata arrivarono risultati sorprendenti, come la vittoria in trasferta a Pescara o quella in casa contro il Palermo. Poi fondamentale è stato poter contare su giocatori attaccati alla maglia e affezionati alla città. Con i baresi si creò un legame irresistibile".

Non si può dire che lo stesso sia successo quest'anno. In ogni caso, tutte le big del campionato cadetto hanno fatto una fatica tremenda a fare punti, mentre in Serie A ci son finite Carpi e Frosinone. Come se lo spiega? 

"Prendete il Catania: a gennaio ha cambiato tutto. Beh, i campionati è difficile vincerli così. E non si vincono certamente pensando di averli vinti già ad agosto, prima ancora di scendere in campo. Serve umiltà e a noi l'anno scorso non è mancata. Necessario poi è avere uomini fisicamente ben strutturati, che abbiano voglia di correre, spirito di sacrificio. Carpi e Frosinone avevano tutto queste caratteristiche e infatti eccoli ai primi posti".

Dica la verità, ha mai creduto davvero che quest'anno il Bari potesse raggiungere i playoff? 

"Sono sincero: no. I biancorossi non hanno mai trovato la continuità necessaria per arrivare almeno ottavi. E in zona playoff non ci sono stati praticamente mai. Serviva il miracolo di fine stagione, ma non è arrivato". 

Direttore, ma perché non è ancora a Bari? Non è mai stato tentato di rimanere ancora in Puglia dopo l'eliminazione patita a Latina? 

"No, avevo già deciso da tempo di andare via e non sono tornato sui miei passi. Per me è stata una decisione dolorosa, ma era giusto che la nuova proprietà scegliesse i propri uomini di fiducia".

A La Spezia si trova bene? 

"Sì, la società è seria e qui ci sono strutture all'altezza, sia per la prima squadra che per il settore giovanile. Abbiamo un piano per andare in Serie A entro tre anni. Se ci andassimo già quest'anno, beh, tanto meglio".

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Sezione: Esclusive / Data: Mer 20 maggio 2015 alle 19:30
Autore: Diego Fiore
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