E' stato uno degli uomini chiave dello scandalo del calcioscommesse. La sua confessione ha permesso di scoprire un vasto giro che permetteva a personaggi del mondo del calcio e non di alterare il risultato di diverse partite dei principali campionati della penisola. Stiamo parlando di Carlo Gervasoni, ex difensore che in serie B ha vestito le maglie di Verona, Bari (26 presenze e 1 gol nel 2006/07, ndr), Albinoleffe e Piacenza. Ospite del programma televisivo "Open Space", che sarò trasmesso questa sera su Italia 1, Gervasoni ha spiegato dettagliamente come avvenivano gli accordi. "Ho truccato una dozzina di partite dove ero io in campo, poi ho cercato di combinarne altre dove non giocavo. Ed era più facile corrompere gli italiani che gli stranieri - le parole del 33enne lombardo riportate da gazzetta.it - Dare un numero esatto dei calciatori che ho contattato per le combine è complicato perché c'è ancora un processo, ma più o meno sono riuscito a contattarne una sessantina. Su questi sessanta solo due hanno detto no, un italiano e uno straniero. Gli italiani si ponevano problemi all'inizio, poi quando avevano la mazzetta prima della gara, era più semplice".
A dare le istruzioni sulle partite da combinare e a pagare i calciatori corrotti ci pensava quello che è stato definito il "clan degli zingari". "Il primo contatto con il clan è stato come un corteggiamento, siamo andati a cena 4-5 volte, ci hanno fatto capire fondamentalmente quello che dovevamo fare. Loro scommettevano su piattaforme particolari, asiatiche, così da evitare il tracciamento e dove non veniva identificato il flusso anomalo di soldi, anche perché loro scommettevano solamente live, durante la partita. La prima volta ci hanno dato 100mila euro da spartire. La prima partita combinata la proposi a un buon numero di giocatori, 6 o 7. La partita era Albinoleffe-Pisa, febbraio 2009. Il clan era molto organizzato, ogni 20-30 giorni mi cambiavano la sim del telefono che usavamo solamente per dirci 'ci sono', poi principalmente ci sentivamo su Skype. È durata fino alla prima ondata di arresti, nel maggio 2011".
Gervasoni non ha problemi ad ammettere la motivazione per la quale ha commesso tali azioni, che hanno decretato la fine della sua carriera."Perché mi sono venduto le partite? Per soldi. Non so dirti una cifra totale che ho guadagnato, facevo un lavoro in cui guadagnavo bene, anche 10-15mila euro al mese. Ho giocato un anno senza prendere lo stipendio, ma questa non è assolutamente una scusante. Loro davano anche a me solo, personalmente, perfino 80mila euro. Non dormivo tranquillo, ma con un'adrenalina positiva. Non sono ipocrita, sono pentito, ho sbagliato ma se l'ho fatto è perché fondamentalmente mi andava bene il fatto che in così breve tempo portavo a casa così tanti soldi. Mi sono sentito una merda, fingevo anche con i miei compagni perché a volte ho giocato anche contro la mia squadra".
Segue un'altrettanto pesante ammissione: "La struttura portante di una squadra è fondamentale, ovviamente se si ha il portiere si parte avvantaggiati, poi se hai l'attaccante e un difensore è molto più facile. Adesso ho dubbi guardando le partite? Ho molti dubbi, adesso le guardo con altri occhi, sono molto malfidente. Me ne accorgo da degli atteggiamenti che percepisco guardando i volti dei giocatori o da alcuni atteggiamenti un po' sopra le righe. Ho deciso di parlare per togliermi un peso non facile da tenere dentro e poi perché mi avevano beccato con le intercettazioni e avevo paura di andare in carcere. Se non avessero fatto le intercettazioni, starei giocando ancora, magari non in maniera propriamente pulita. Sono sincero, se non mi avessero beccato sarei andato avanti".
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