Papa Francesco se n’è andato ieri. Un dolore che attraversa il mondo intero, credenti e non, perché Jorge Mario Bergoglio è stato molto più di un Papa: è stato una voce, un volto, un gesto di prossimità in tempi duri e confusi. E tra le tante cose che lo hanno reso così vicino alla gente, così autentico, c’è stata anche una passione che lo ha accompagnato per tutta la vita: quella per il calcio.
Non era un vezzo folkloristico, né una strategia di comunicazione. Era qualcosa di molto più profondo. Il calcio, per lui, era una scuola di umanità. Lo ha detto, lo ha vissuto. È cresciuto con il San Lorenzo de Almagro nel cuore, nel barrio popolare di Flores, in un’Argentina che respirava pallone e fede come due elementi indivisibili. Eppure, mai Bergoglio ha parlato di calcio con superficialità. La sua era una passione intelligente, pensata, vissuta.
Nei suoi discorsi al mondo dello sport non parlava di tattica, ma di etica. Non di moduli, ma di valori. Diceva che il calcio doveva essere occasione d’incontro, strumento educativo, terreno fertile per la solidarietà. Esortava atleti, dirigenti e tifosi a riscoprire la bellezza del gioco come linguaggio universale, capace di unire ciò che il mondo divide.
E ci credeva davvero. Lo si capiva da come parlava di fair play, di sacrificio, di squadra, di rispetto. Da come ricordava che un pallone può insegnare più di tanti discorsi, perché ti obbliga a cadere e rialzarti, a condividere, a vincere senza umiliare e a perdere senza disperare. Era il suo modo di leggere la vita: come un campo aperto dove ognuno ha un ruolo, dove l’egoismo non porta da nessuna parte, e dove il vero fuoriclasse è chi gioca per gli altri.
Il suo legame con il calcio lo ha portato a sostenere progetti di sport per l’inclusione, a incontrare atleti e squadre, a sorridere con la sciarpa del San Lorenzo al collo, ma sempre con discrezione. Perché non era il tifo a contare, ma ciò che il tifo poteva rappresentare: un senso di appartenenza, un amore che nasce nelle periferie e unisce le generazioni.
Oggi che non c’è più, anche quel pallone che ha sempre portato nel cuore sembra un po’ più fermo. Ma nelle sue parole, nei suoi gesti, resta il suo insegnamento: che il calcio, se vissuto con cuore e dignità, può essere una palestra di fraternità. E allora forse, da qualche parte, c’è un campetto in terra battuta dove Bergoglio sta già guardando dei bambini giocare, sorridendo come faceva qui, e dicendo sottovoce: “Giocate come angeli”.
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