Oggi il calcio è un’industria. I club non sono più sogni, sono asset. Il Bari non fa eccezione, anzi, ne è conferma. La storia recente del club biancorosso è figlia diretta di questa trasformazione: una società che non è finita nelle mani di chi la ama, ma in quelle di chi ha visto un’occasione di guadagno, d'interesse. E quando accade questo, non c’è spazio per il cuore.
Può sembrare banale, un segreto di Pulcinella. Ma è solo questo il punto a monte del mancato concentramento di risorse, e non si parla solo di soldi. Anche se questa squadra fosse andata in Serie A due anni fa, il concetto non sarebbe cambiato. Nel Bari probabilmente ci sarebbe stata un'altra mano a gestire ma quasi sicuramente non una che sente pulsare il proprio cuore quando vede il bianco e il rosso uniti.
Chi ama una squadra, la protegge. Chi la usa, la gestisce con freddezza, puntando al minimo sforzo per il massimo risultato economico. È quello che abbiamo vissuto in questi anni. Un Bari tenuto sempre a galla, mai davvero affondato ma neppure mai spinto verso la riva. Una squadra e una piazza trattate come un ramo d’azienda, da chi qui non vive, non tifa, non trema quando il pallone balla sull’incrocio.
Il risultato è un senso di frustrazione continuo: perché lo stadio è pieno anche quando la squadra arranca, perché i tifosi rispondono sempre, anche quando la proprietà resta muta. Perché Bari è un patrimonio calcistico ed emotivo che meriterebbe un presidente con la sciarpa al collo, non con la calcolatrice in mano.
Chi prende in mano un club come il Bari ha il dovere di rispettarne la storia, la gente, la passione che brucia anche quando la classifica è grigia. Ma questo rispetto non si compra: o ce l’hai dentro, o no. E chi ha avuto il Bari in questi anni ha dimostrato più interesse per i bilanci che per le bandiere. E allora viene spontaneo chiedersi: perché il Bari non è finito nelle mani di chi ci tiene davvero?
Il calcio dovrebbe tornare ad essere prima passione, poi progetto. Invece è il contrario. E Bari, che ha un cuore enorme, una piazza tra le più calde d’Italia, continua a pagare il prezzo di questo rovesciamento. Perché a furia di considerare il pallone un business, si dimentica che per chi lo guarda, lo canta e lo soffre ogni domenica… è ancora molto di più.
E forse è proprio questo il paradosso più grande: i tifosi mettono l’anima, chi comanda mette solo capitale. Ma il calcio, quello vero, non si costruisce solo con i conti in ordine. Si costruisce anche con l’amore. E il Bari ha bisogno, più di tutto, di qualcuno che lo ami davvero.
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