Un anno fa, alla stessa giornata di campionato, il Bari era settimo. Dentro la parte viva della classifica, non in fuga ma nemmeno in affanno, agganciato al gruppo che poteva ambire a qualcosa di più della semplice sopravvivenza. Era una posizione tutt’altro che neutra: le prime tre avevano già preso il largo - con distacchi importanti, la terza a +9 sulla quarta, la seconda a +12 e la prima addirittura a +15  - ma subito sotto si muoveva un blocco compatto, e il Bari ne faceva parte a pieno titolo. I biancorossi erano a un solo punto dal quarto posto, immersi in una zona in cui ogni risultato poteva spostare equilibri e prospettive.

Oggi, dodici mesi dopo, lo scenario è radicalmente diverso. Il Bari è quattordicesimo, con un margine sottile sulla zona calda e una sensazione costante di precarietà. Non c’è più un gruppo da inseguire, ma una linea da non oltrepassare. Il confronto non è solo legittimo, è inevitabile. E racconta una regressione che va oltre la semplice posizione in classifica: è il passaggio da una squadra che poteva ancora guardare avanti a una costretta a guardarsi le spalle, da una stagione aperta a una stagione che sembra chiudersi su sé stessa.

Perché se è vero che la Serie B vive di equilibri instabili, è altrettanto vero che le traiettorie contano più delle fotografie. E quella del Bari, oggi, è una traiettoria in discesa. Un anno fa i biancorossi erano una squadra imperfetta ma riconoscibile, con limiti chiari ma anche con una struttura emotiva e tecnica che permetteva di restare in partita, di non smarrirsi. Oggi il Bari appare più fragile, più corto, più povero di certezze.

La classifica della passata stagione, dopo lo stesso numero di giornate, restituiva un Bari settimo, ancora dentro una logica competitiva. Non era una posizione casuale, ma il risultato di una squadra che, pur tra difficoltà, riusciva a mantenere un certo equilibrio. Oggi il quattordicesimo posto non è solo più basso: è più pesante. Perché arriva senza slancio, senza prospettiva, senza la sensazione che ci sia un punto di svolta dietro l’angolo.

I numeri aiutano a capire la portata del crollo. Questo Bari ha oggi il secondo peggior attacco del campionato e la seconda peggior difesa. Un dato che da solo basterebbe a spiegare la crisi, ma che diventa ancora più allarmante se inserito nel confronto con l’anno scorso. Allora il Bari faticava, sì, ma non era una squadra così povera in entrambe le fasi. Oggi segna pochissimo e subisce troppo, dando l’impressione di essere vulnerabile in ogni momento della partita.

Il problema, però, non è solo statistico. È identitario. Il Bari di un anno fa era una squadra che cercava di costruire, che provava a stare dentro il campionato. Quello di oggi sembra limitarsi a sopravvivere, spesso senza riuscirci. Le partite scorrono tutte uguali, con la stessa difficoltà a creare occasioni, la stessa fragilità difensiva, la stessa incapacità di reagire agli episodi negativi. Una squadra che non cresce, che non cambia pelle, che non evolve.

Il confronto con la passata stagione diventa allora impietoso. Un anno fa il Bari poteva permettersi di guardare avanti, oggi è costretto a guardarsi alle spalle. Un anno fa i pareggi tenevano in quota, oggi rallentano e avvicinano pericolosamente la zona rossa. Un anno fa c’era la sensazione di poter correggere la rotta, oggi c’è il timore di non avere gli strumenti per farlo.

Il crollo è soprattutto mentale. Questo Bari appare bloccato, timoroso, incapace di imporsi anche quando la partita lo consentirebbe, come dimostrano i punti lasciati in situazione di superiorità numerica. La mancanza di gol pesa come un macigno, ma ancora di più pesa l’assenza di reazione. Le sconfitte non producono rabbia, i momenti difficili non generano scosse. È una squadra che accetta il proprio destino invece di provare a riscriverlo.

Ecco perché il paragone con l’anno scorso non può essere liquidato come una semplice oscillazione di classifica. Essere passati dal settimo al quattordicesimo posto, alla stessa giornata, significa aver perso status, ambizione, solidità. Significa essere scivolati da una dimensione competitiva a una zona grigia, pericolosa, in cui basta poco per precipitare. Dodici mesi fa il Bari era una squadra in corsa. Oggi è una squadra in affanno. E se allora si poteva parlare di difficoltà fisiologiche, oggi la parola giusta è una sola: crollo.

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 20 dicembre 2025 alle 17:00
Autore: Martina Michea
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