La crisi che sta attraversando il Bari non è soltanto una questione di punti o di posizioni in classifica, ma riflette un paradosso tecnico che lascia sbigottiti tifosi e addetti ai lavori. Come sottolineato anche da Bortolo Mutti, la squadra sembra essere scivolata in una sorta di apatia psicologica che si traduce in un calcio prudente, quasi scolastico, dove l'obiettivo principale non è più vincere, ma limitare i danni per evitare l'errore individuale. Questa tendenza a cercare il compitino ha trasformato una squadra sulla carta dotata di qualità in un collettivo che fatica terribilmente a produrre occasioni da gol, evidenziando l'assurdità di un attacco che non riesce quasi mai a inquadrare lo specchio della porta.
È inconcepibile che calciatori dotati di una natura tecnica superiore per la categoria, elementi che dovrebbero fare della spregiudicatezza e dell'estro il proprio marchio di fabbrica, si ritrovino imbrigliati in una ragnatela di passaggi orizzontali e scelte conservative. Vedere una squadra che arriva sulla trequarti e puntualmente rinuncia alla giocata risolutiva, al tiro da fuori o all'uno contro uno, è il segnale di un blocco mentale profondo. La sensazione è che la paura di sbagliare sia diventata più forte della voglia di osare, portando anche i giocatori più esperti a nascondersi dietro la giocata facile, quella che non espone a critiche immediate ma che, di fatto, rende la manovra offensiva del Bari una delle più sterili e prevedibili del campionato.
In una piazza come Bari, la normalità e l'ordinaria amministrazione non sono mai state sufficienti, specialmente quando la situazione richiede un cambio di passo immediato. La mancanza di tiri in porta non è figlia di una carenza di piedi buoni, ma di una partecipazione alla fase d'attacco che oggi appare timida e priva di quella cattiveria agonistica necessaria per scardinare le difese avversarie. Per uscire da questa palude, Vincenzo Vivarini dovrà lavorare innanzitutto sulla testa dei suoi uomini, convincendoli che in un momento di crisi l'unico modo per salvarsi non è la gestione della tempesta, ma il coraggio di cavalcarla con un pizzico di sana follia. Al Bari oggi non servono ragionieri del rettangolo verde, ma leader capaci di rischiare la giocata, di prendersi la responsabilità di una conclusione difficile e di rompere finalmente questo incantesimo fatto di sterilità e timore reverenziale verso la propria stessa ombra.
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