Il calcio dà, il calcio toglie. Un mondo affascinante, in cui milioni di bambini entrano in contatto ogni giorno con la gioia di calciare un pallone e la speranza di diventare calciatori professionisti. Ma per molti, quel sogno rimane un'illusione e, spesso, finisce con una grande delusione e non per mancanza di talento o dedizione, ma per un sistema che valorizza soltanto pochi fortunati eletti.
Francesco Stella, terzino ed ex giovane promessa classe 2004, barese doc, conosce bene questa realtà, avendo accarezzato il sogno con tanti sacrifici e rinunce. Sin da piccolo, il sogno di Kekko – come lo chiamano gli amici – era giocare in un San Nicola pieno, magari contribuendo a riportare il Bari in Serie A (che manca da ormai 16 anni). Dopo aver mosso i primi passi nelle giovanili dell'Aurora, sotto la guida dei tecnici Anaclerio e De Tommasi, Stella ha vissuto esperienze importanti nei vivai di Hellas Verona e, appunto, Bari, con quale ha militato dalla categoria Under 17 alla selezione Primavera.
Il salto tra i grandi è avvenuto nei campionati dilettantistici, prima con il Molfetta in Eccellenza e poi a Terracina, sempre in Eccellenza (laziale). In un'intervista esclusiva ai nostri microfoni, Francesco Stella (oggi ai box in attesa di una possibile chiamata), ci ha raccontato il suo viaggio nel calcio, tra sogni e delusioni: "Molti guardano l'aspetto esterno del calcio, ma non pensano ai sacrifici che un ragazzino fa durante la sua adolescenza. Sono andato via presto di casa, questo è l'aspetto positivo, ma ho dovuto fare molte rinunce. Ho amato tanto Verona, mi ci trasferirei. Ho passato un anno e mezzo fantastico purtroppo poi è arrivato il Covid e lì ho subito la prima "mazzata" calcistica, rimanendo senza fissa dimora. Poi è arrivato il Bari. Inizialmente, la fortuna più grande è stata poter lavorare con mister Doudou, un gran lavoratore ed uno dei pochi che crede alla meritocrazia in un mondo mosso spesso dalle raccomandazioni e dai soldi. Posso solo spendere belle parole per il mister, uomo schietto. Una persona 'scomoda', che ti dice le cose sempre in faccia, dritto per dritto. Ce ne vorrebbero di più di persone come lui. Gli altri due anni, invece, ho vissuto sulla mia pelle quello che nessun giocatore vorrebbe vivere. Tanta panchina e poco spazio. Me ne sono fatto una ragione a posteriori e sono in pace con me stesso, visto anche come funziona oggi giorno e di come i settori giovanili sono mal gestiti. E non c'è voglia di migliorarli. Ho avuto a che fare con dirigenti amici di procuratori e viceversa, un vero circolo vizioso".
Sei stato compagno di squadra di Colangiuli, che gravita da più di un anno in prima squadra. Cosa puoi dirci di lui? "Abitiamo a pochi isolati di distanza, lo vedo spesso quando è a Bari. Ha avuto una crescita esponenziale, dovuta gran parte dalla passione che ha sempre avuto per questo sport. E' stato molto bravo a sfruttare le occasioni che gli sono state concesse. Come calciatore non si discute, ha dribbling, tecnica, sa dialogare con la squadra e ed è migliorato tanto anche tatticamente. A livello umano è veramente un ragazzo acqua e sapone, umile ma con tanta consapevolezza dei suoi mezzi".
A Terracina come è andata? "Terracina è stata la mia salvezza, emotivamente parlando. Ero scettico perché non sapevo che ambiente avrei trovato. Invece, dal primo momento che ho messo piede lì, mi sono sentito a casa. Gente di mare, tifo importante per la categoria, mitica curva mare che porto sempre nel cuore. Ma soprattutto ho trovato un gruppo coeso e forte, con cui ho vinto una Coppa Italia Regionale e il Campionato di Eccellenza. C'erano figure di spicco come Carlini e Curiale, che hanno vinto la serie B col Frosinone, Giordano Fioretti, record di gol in una stagione di serie C, Daniele Rosania, che ha fatto la B col Lanciano e tanti altri ragazzi, veterani tra i dilettanti che sapevano cosa significasse vincere. Ho amicizie che coltivo ancora e questa è la vittoria più bella, ci scambiamo messaggi, scherziamo e parliamo sempre di cosa accade in campo. Se mi ricapitasse, ci ritornerei subito ma a condizioni societarie migliori visti gli ultimi risultati dovuti ad una scarsa organizzazione, che lede soprattutto i tifosi. Una cosa simile l'abbiamo vissuta qui a Bari, ma con le giuste proporzioni".
C'è un problema nei settori giovanili. Ad un certo punto, succede spesso qualcosa che complica il percorso di un giovane calciatore. Che spiegazione ti dai? "Ho dato una risposta prima ma il problema è alla base e parlo in generale: non c'è voglia di migliorare i settori giovanili. Le risorse economiche ci sono, ma vengono spesi male e altrove. Spesso ci si basa su favori e raccomandazioni, un modo di fare che spacca in due questo mondo, facendoci perdere talenti. Ognuno vive la sua esperienza, sia chiaro; la mia esperienza è stata pessima ma, come detto, sono in pace con me stesso. Non mai stato un fenomeno, ne mai lo sarò, sia chiaro. Ma qualche occasione in più potevo averla, questo è l'unico rammarico".
Sei anche un tifoso del Bari. Lo scorso anno hai seguito da tifoso la formazione di mister Longo, anche in trasferta, tra cui quella di Salerno. Che squadra sta nascendo secondo te? Inoltre, che idea ti sei fatto della Multiproprietà e della contestazione ai De Laurentiis? "Spero nasca qualcosa di buono ma deve partire dai calciatori stessi. Giochi in serie B, giochi con una maglia importante e con una tifoseria unica. Si è perso un po di romanticismo, non si gioca più per far sorridere gli altri ma lo si fa per sé stessi. È diventato uno sport molto egoista da questo punto di vista, si vuole fare i calciatori solo per la bella vita e non più per aspirazione professionale. È cambiato tanto. Tornando al Bari, e alla multiproprietà, va detto che, in fin dei conti, i De Laurentiis hanno riportato il Bari dalla D alla B, sfiorando la A. Poi c'è stato un calo drastico. Purtroppo o per fortuna, il tifo a Bari è molto esigente. Credo che l'importante sia sempre onorare la città, a prescindere dal ruolo. Dal presidente ai giocatori, tutti devono dare il massimo. Ecco perchè non do la colpa solo alla società per l'andamento delle ultime due stagioni".
Quanto ti sarebbe piaciuto esordire in prima squadra? Cosa consiglieresti a un giovane che per la prima volta indossa la maglia biancorossa? "L'esordio, per quanto mi riguarda, deve arrivare sempre per merito. Anche fare panchina è un'esperienza. Se avessi esordito con la maglia del Bari, avrei fatto molto felice mio padre. E' lui che, da gran tifoso biancorosso, mi ha portato per la prima volta allo stadio, durante la stagione dell'ultima promozione in A, nel 2009. Sarebbe stata bello anche ricevere solo una convocazione. I giovani, indipendentemente dalla maglia che indossano, devono cercare di non perdere mai la passione, anche in situazioni avverse. Devono lavorare in maniera intelligente, curare le basi e tutti i gli aspetti tecnici, perché si gioca con i piedi e con la testa. Devono ascoltare sempre. Testa bassa e pedalare. Si parla troppo e si fa poco, una cattiva abitudine anche tra i grandi. Ci vuole bravura e fortuna allo stesso tempo, quindi, cari giovani, sfruttate al meglio, con intelligenza, qualsiasi occasione vi verrà concessa".
Autore: Redazione TuttoBari
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