Madrid, 12 luglio 1982. Antonio Cassano nasce poche ore dopo il successo dell’Italia nei mondiali di Spagna. Avrebbe potuto chiamarsi come Paolo Rossi, el hombre del Mundial, ma sua madre Giovanna è devota al santo patrono di Padova. Crescerà a pane e pallone che accarezzerà a suon di dribbling lungo piazza Ferrarese. Il suo straordinario talento scalderà il mondo intero in una fredda serata di un dicembre pugliese.
Bari, 18 dicembre 1999. Il Bari affronta l’Inter senza Spinesi, De Rosa, Masinga ed Osmanovski. Fascetti, un astuto volpone, non si dispera e lancia in formazione Hugo Enyinnaya e Antonio Cassano, attaccanti della Primavera. Sul punteggio di 1-1, Lippi, il Paul Newman che ha lasciato la Vecchia Signora per mangiare la mela del giardino dell’Eden nerazzurro, cerca di vincere la partita gettando nella mischia Alvaro Recoba e Roberto Baggio. Tra il Chino di Montevideo e il Divin Codino di Caldogno, ecco spuntare Antonio Cassano da Bari Vecchia. Dopo aver ricevuto il pallone, lo addomestica col tacco e se lo porta in avanti con la testa. Finte e controfinte per disinnescare Blanc e Panucci, e preciso rasoterra a trafiggere Ferron subentrato all’infortunato Peruzzi. L’Inter è all’angolo, il Bari vince 2-1. Il San Nicola esplode in un boato assordante. É nata una stella che illumina le strade poetiche di Bari Vecchia.
Roma, 07 marzo 2001. Cassano si trasferisce alla Roma, fortemente voluto da Franco Sensi e Fabio Capello. Nella città eterna si lega, con naturalezza e spontaneità, all’eterno Francesco Totti, l'uomo che considererà per sempre un fratello. La Roma ha una squadra ancor più forte di quella che solo dodici mesi prima si è cucita il tricolore sul petto. Dopo la supercoppa vinta a mani basse contro la Fiorentina per 3-0, non c’è spazio per altri trofei. Lo scudetto sognato a lungo, e sfiorato per qualche istante, naufraga in Laguna contro il Venezia condannato alla retrocessione. Cassano rimane a Roma fino al 2006, riuscendo ad emulare Nerone per via delle numerose occasioni bruciate. Ma è un genio, e non può rimanere per troppo tempo in una lampada. Ha bisogno di percorrere strade inesplorate.
Hala Madrid. La gloria, il dolce sapore della vittoria, giunge in riva al Manzanarre dopo aver salutato il Tevere. A reclamarlo in Blancos è Fabio Capello, antico mentore in giallorosso. Non ci sono più Totti e Montella, ma Zidane e Ronaldo, il Fenomeno, l’unico degno di tale appellativo. Nel luogo in cui Bearzot capì che avrebbe vinto un Mondiale, Cassano abbandona la razionalità per seguire il suo istinto. Un errore, il più grande commesso in carriera, dichiarerà in seguito. Dopo una stagione carica di tensioni chiude i bagagli con troppa fretta e fa ritorno in Italia.
La lanterna del cuore. Cassano è uomo di mare, il suo sguardo è sempre rivolto verso l’infinito. Il suo spirito ribelle, come per magìa, si placa solo alla vista del gigante blu. A Genova trova serenità e amore, sia dentro che fuori dal campo. Quello di Carolina, sua moglie, che saprà tirargli fuori il meglio e lo renderà padre, e della Sampdoria. Nessuna scappatella - Milan, Inter, Parma, - offuscherà mai il blucerchiato. Quella maglia gli resterà cucita addosso per sempre.
L'addio. Cassano appende le scarpette al chiodo. Sempre oltre ogni schema, pronto a penetrare l’animo con giocate straordinarie. In tanti gli hanno chiesto di cambiare, di smettere con le famose cassanate, ma non ci sono riusciti. Antonio Cassano piace perché è vero, non costruito, spontaneo. È un genio ribelle, e condannarlo al conformismo vorrebbe dire far correre un ghepardo su un tapis roulant. Impossibile.
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