Mancini unisce, l’Osservatorio divide. Paradossi di un calcio senza padri, ma con tanti padroni.
Il 30 marzo 2012 moriva Francesco Mancini, materano, protagonista del Foggia dei miracoli di Zeman. Il 10 marzo 2013, andrà in scena allo stadio “XXI Settembre” di Matera la sfida tra la squadra locale e il Foggia, valida per la nona giornata di ritorno del Girone H della Serie D. Il caso, il destino, il fato o una pura coincidenza: fatto sta che ad un anno di distanza, le due città che più tramonti hanno regalato a Francesco Mancini, si sfideranno nell’arena teatro dei suoi spettacoli più applauditi. Lo hanno chiamato il "Mancini Day" e sarà il giorno in cui il sindaco di Matera, Salvatore Adduce, scoprirà una targa destinata al portiere materano. Mancini ha unito e nel modo più dolce, l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive ha diviso e nel modo più violento: trasferta vietata per i sostenitori del Foggia.
Padroni appunto, ma non padri. Padroni di un calcio in cui il tifo piace se porta incassi, padroni di un calcio in cui il tifo è punito, non educato. Un padre, forse, avrebbe compreso che il tifoso non dimentica l’emozione, diversamente fa con lo schiaffo. Per un giorno, anche solo per uno, materani e foggiani avrebbero potuto abbracciarsi, avrebbero potuto accompagnare l’ennesimo volo di Franco, avrebbero potuto. “Manchiguita” a Foggia, “Il Giaguaro” a Bari, “Psyco-Mancini” a Napoli, un uomo che le tifoserie hanno sentito appartenergli ovunque sia stato. L’uomo, quello che non si dimentica. Ma, la trasferta è vietata perché considerata “a rischio”, ma di cosa? Un generico rischio di disumanità, di odi territoriali potenzialmente capaci di violare la memoria de “l’idolo” comune, una preoccupazione assurda: è il divieto ad essere disumano, soprattutto in considerazione della pacifica convivenza delle tifoserie durante il match d’andata.
Foggia s’indigna, Matera si dispiace, ma Mancini unisce. E se il sindaco lucano afferma: “Peccato che i tifosi del Foggia non possano partecipare alla festa con i nostri, avrebbero reso più significativo questo giorno importante”. E se il ds del Foggia, Sario Masi afferma: “Prima della gara prenderemo parte delle cerimonia di intitolazione della gradinata a Mancini, ma non seguiremo dalla tribuna la partita: andremo via”, Mancini guarda seduto sulla sua traversa. Guarda quel calcio che nel bene e nel male gli è appartenuto quasi quanto lui è appartenuto al calcio. Osserva, con i suoi riccioli da ragazzino, canticchiando una canzone del suo amato Bob Marley, tenendo gli occhi sul prossimo pallone da bloccare. “Il calcio significa libertà, creatività, significa dare libero corso alla propria ispirazione”, sosteneva il padre del reggae e Manchiguita ha creato, ispirato, è stato il portiere libero. Proprio lui, capace di giocare a 15 metri dalla porta, far ripartire velocemente la squadra, proprio lui, riflessi da felino e umiltà da campione. Proprio lui, l’uomo che Bari ha visto piangere a dirotto per la salvezza conquistata nel 2000 all’ultimo respiro, proprio il Francesco Mancini che Matera e Foggia, domenica prossima, nonostante tutto, non dimenticheranno, riunite nel ricordo più bello: “We're jamming, I wanna jam it with you…”
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