​La crisi del Bari affonda le sue radici nella difesa colabrodo, ma la vera spia rossa che si è accesa recentemente è la sterilità offensiva. Nonostante la presenza in organico di attaccanti di valore, il club pugliese ha visto crollare la sua media gol, trasformando la manovra offensiva in un esercizio sterile e prevedibile.

​Il paradosso è evidente: il Bari vanta in squadra Gabriele Moncini, un cannoniere che, quando servito, ha dimostrato di avere il killer instinct. Eppure, le reti latitano. La spiegazione non è da ricercare nella scarsa qualità dei singoli, ma in un collettivo che non riesce più a costruire e servire il proprio uomo più pericoloso. Un dato statistico in particolare evidenzia la profondità del problema: nelle tre partite in cui il Bari ha goduto della superiorità numerica per un tempo significativo, la squadra non è stata capace di segnare neanche un gol. Questa incapacità di sfruttare il vantaggio numerico dimostra una paralisi non solo tattica, ma soprattutto psicologica, dove la paura di sbagliare supera la voglia di attaccare.

​Il problema principale risiede nella transizione tra difesa e attacco. Il centrocampo, da sempre il cuore pulsante della squadra, è apparso spesso privo di idee e di timing. La carenza di un vero e proprio regista di rottura capace di verticalizzare rapidamente il gioco o di un trequartista in grado di superare l'uomo con continuità ha paralizzato la manovra. Di conseguenza, Moncini riceve la palla in condizioni di estremo isolamento, costretto a crearsi lo spazio da solo contro difese schierate. Quando la palla arriva dalle fasce, è spesso frutto di iniziative personali e non di schemi consolidati.

​Con la crisi di risultati, la squadra è diventata terribilmente prevedibile. Gli avversari del Bari ormai sanno che basta neutralizzare il corridoio centrale e raddoppiare su Moncini per anestetizzare l'intera fase offensiva. L'assenza di soluzioni alternative al gioco diretto o ai cross dal fondo è allarmante. Non si vedono più gli inserimenti dei centrocampisti in area, che creerebbero superiorità numerica e costringerebbero i difensori avversari a uscire dalle loro posizioni. Gli esterni, pur avendo qualità, faticano a trovare la linea di fondo per il passaggio filtrante, preferendo spesso un tiro velleitario o un passaggio all'indietro. L'arrivo di Vivarini punta proprio a ricreare quella fluidità e quell'armonia che sono andate perdute. Il suo obiettivo primario non è tanto trovare un nuovo attaccante, quanto riconnettere i reparti per far sì che la manovra offensiva torni a essere una conseguenza naturale di un centrocampo dominante. Per il Bari, ritrovare la via del gol è l'unica chiave per sbloccare la paura e per ricominciare a vincere.

Sezione: In Primo Piano / Data: Mer 17 dicembre 2025 alle 10:00
Autore: Enrico Scoccimarro
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