C’è un momento, nelle stagioni difficili, in cui una società deve decidere se limitarsi a sopravvivere al dolore o provare a trasformarlo in forza. L’Empoli ha scelto la seconda via. E lo ha fatto tornando all’origine della propria identità: un progetto tecnico riconoscibile, un’idea di calcio coerente e la capacità — quasi genetica — di risorgere dopo ogni caduta.

La retrocessione aveva lasciato scorie pesanti. Il ciclo si era improvvisamente spento, il motore ingolfato. Con Pagliuca la partenza era stata zoppicante, figlia di un gruppo smarrito. Poi qualcosa è cambiato: il nome di Alessio Dionisi è tornato a campeggiare su una panchina azzurra e, poco alla volta, si è riaccesa la scintilla.

L’allenatore toscano porta con sé una storia di riscatto personale. Dopo la deludente parentesi al Palermo, Dionisi aveva bisogno di un luogo familiare per ricostruire sé stesso. Empoli era il posto perfetto: qui la pressione non soffoca, ma stimola; qui la società non cambia rotta al primo soffio di vento; qui l’allenatore è un costruttore, non un parafulmine.

E i risultati iniziano a raccontare una nuova verità. Prima della sosta, il successo di misura contro il Catanzaro — un 1-0 sporco, faticato, ma tremendamente prezioso — aveva dato il primo segnale di inversione. Ma è stato il 3-0 inflitto all’Avellino, in una delle piazze più complicate della categoria, a certificare che la riscossa non è più solo un’ipotesi romantica.

L’Empoli ha ricominciato a sembrare… Empoli. Una squadra corta, aggressiva, con meccanismi chiari e una maturità tattica tornata improvvisamente a galla. Una squadra che sa soffrire senza spegnersi, e che soprattutto produce calcio quando decide di alzare il ritmo. È tornata la coralità, è tornata la fluidità. È tornata quell’idea di “progetto” che negli ultimi vent’anni ha rappresentato un marchio di fabbrica riconoscibile in tutta Italia.

Sezione: Serie B / Data: Mar 25 novembre 2025 alle 18:00
Autore: Antonio Testini
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