Una formalità, nient’altro che una formalità. Questo, secondo tutti i commentatori, è il destino che sembra essere riservato al quinto campionato mondiale, disputato in Svizzera. Il primo torneo iridato trasmesso in TV, infatti, ha una vincitrice mai così annunciata: è l’Ungheria di Puskas, capace pochi mesi prima di espugnare Wembley, impresa mai riuscita a nessuno, prima di allora. Il calcio, però, come dimostrato già quattro anni prima, sa sempre regalare sorprese. Sarà così anche questa volta.
LA SQUADRA D’ORO – Poche settimane prima che l’Uruguay faccia piangere il Maracanã, laureandosi per la seconda volta campione del mondo, l’Ungheria perde per 5-3 a Vienna, dall’Austria, in amichevole. Una gara anonima, che sembra confermare il declino del calcio ungherese all’indomani della guerra. Sarà invece la loro ultima sconfitta prima della finale di Berna, quattro anni e due mesi dopo. L’”Aranycsapat”, la squadra d’oro, è un concentrato irripetibile di campioni, fioriti nelle varie squadre di Budapest, su tutte la Honved di Puskas e Kocsis. I magiari arrivano in Svizzera con un unico dubbio: non sanno ancora quale squadra batteranno in finale. Dopo aver dominato le Olimpiadi di Helsinki, nel 1952, erano stati invitati dalla F.A. per un’amichevole da giocare a Wembley, nel novembre dell’anno successivo. Un invito che i dirigenti britannici avranno modo di rimpiangere a lungo. Nella nebbiolina londinese di un pomeriggio autunnale va in scena il crollo della pretesa superiorità del calcio d’oltremanica. Battuto il calcio d’inizio, i magiari vanno in gol prima che gli avversari abbiano avuto la possibilità di toccare palla. Finisce 6-3 e, se possibile, il peggio deve ancora venire, visto che quando i bianchi restituiscono la visita subiscono un 7-1 che ha quasi dell’assurdo.
ASSENZE E PROBLEMI – A corroborare le certezze di successo degli ungheresi c’è un parco di partecipanti mai come in questo caso di scarsa qualità. Manca l’Argentina, alle prese con una mancanza di talenti che sembra inguaribile, aggiunta alla diaspora dei migliori talenti, Di Stefano in primis. Mancano Svezia e Danimarca, tradite ancora una volta da leggi anti-professionismo ancora una volta auto-limitanti. Insieme agli scandinavi manca anche la Spagna, un’altra protagonista del girone finale di quattro anni prima. Nonostante possano contare proprio sull’apporto fornito da Di Stefano, le Furie Rosse si impantanano nell’ostacolo Turchia, venendo eliminati al sorteggio, dopo aver pareggiato anche la gara di spareggio. Restano Inghilterra e Brasile e, mentre i primi hanno già dimostrato di non essere all’altezza dei grandi favoriti, i verdeoro si presentano rinnovati e senza grandi aspettative, una volta tanto. Restano dunque i campioni in carica dell’Uruguay e le outsiders: la Germania Ovest, tornata in campo dopo le sanzioni di guerra, l’Austria e la Jugoslavia, finalista olimpica due anni prima. E l’Italia? Dopo l’indecorosa partecipazione all’edizione brasiliana era iniziato un periodo di instabilità tecnica, favorito anche dalla mancanza di una squadra guida come era stata la Juventus negli anni Trenta e il Torino nel decennio successivo. Il grande afflusso di stranieri, poi, aveva innalzato il livello dei club, ma parimenti causando un blocco per la fioritura di nuovi talenti, che non trovavano adeguato spazio. Erano iniziati i venti anni più bui del calcio italiano. Solo a fine anni Sessanta si tornerà a vedere la luce.
SUBITO A CASA – La curiosa formula inventata dagli organizzatori prevede quattro gironi, all’interno dei quali le due teste di serie (e di conseguenza le due meno titolate) non si affrontano tra di loro. L’Italia, sorteggiata con l’Inghilterra, può ritenersi soddisfatta, ma ha fatto i conti senza i padroni di casa che, nella sfida che inaugura il girone, si impongono per 2-1 (inutile il momentaneo pareggio di Boniperti). La successiva sconfitta elvetica contro l’Inghilterra, unita al largo 4-1 col quale gli azzurri si sbarazzano del Belgio, porta allo spareggio per il secondo posto. A Basilea, intimiditi dal pubblico e ancora senza uno schieramento stabile, gli azzurri subiscono senza reagire un 1-4 fin troppo eloquente, che promuove meritatamente la squadra di casa ai quarti. Negli altri gironi passano tutte le grandi: Brasile e Jugoslavia nei confronti di una Francia ancora in fase di ricostruzione; Uruguay e Austria a punteggio pieno, nemmeno impensierite da Cecoslovacchia e Scozia. L’attenzione del mondo è però puntata sul gruppo B, quello dell’Ungheria. La Germania Ovest è l’avversario più ostico e non è nemmeno testa di serie, ma per sua fortuna le altre componenti sono Turchia e Corea del Sud, entrambe all’esordio. Dopo una larga vittoria a testa, le favorite si affrontano per decidere il primo posto. I tedeschi si schierano, a sorpresa, con una formazione imbottita di riserve, venendo sconfitti per 8-3. È una mossa tattica del C.T., che fa riposare gli uomini migliori e, nel frattempo, può studiare dal vivo i temibili avversari. Lo spareggio con la Turchia, poi, si rivela una formalità.
A SUON DI GOL – Iniziano i quarti di finale ad eliminazione diretta e lo fanno con l’incredibile 7-5 col quale l’Austria ha la meglio sui vicini svizzeri, andati sul 3-0 dopo nemmeno mezzora e raggiunti e superati già a fine primo tempo. L’Uruguay si conferma ammazza-grandi, eliminando un’Inghilterra comunque sottotono, col quarantenne Stanley Matthews unico illuminato pilastro del gioco. Molta fortuna per la Germania, che con la Jugoslavia passa con un’autorete e un gol irregolare. Resta Ungheria-Brasile, dunque, la finale anticipata. I magiari vanno presto sul 2-0, il Brasile accorcia, ma si vede nuovamente distanziare con un rigore discutibile che ne scatena la furia. Alla fine gli espulsi saranno tre, due a uno per i verdeoro, ma i gol quattro a due per l’Ungheria, contano di più. Al fischio finale, poi, Kocsis si ritrova a fuggire, inseguito da quattro avversari, mentre lo stopper Pinheiro spacca una bottiglia in testa a Puskas nel pieno di una baraonda che convince i dirigenti della Honved ad annullare la prevista tournée in Brasile.
TUTTO COME PREVISTO – Il secondo “derby” consecutivo per l’Austria si conclude, stavolta, a suo sfavore, e non di poco. La Germania, infatti, continua nella sua esponenziale crescita di condizione, sommergendo i più tecnici, ma leggeri, cugini sotto un 6-1 che non ammette repliche. Sull’altro campo, invece, l’Ungheria comincia a patire la stanchezza. L’Uruguay è infatti un avversario da non augurare a nessuno. Mai doma, la Celeste rimonta lo 0-2 che ad inizio ripresa sembrava condannarla e costringe i magiari ai supplementari. A quel punto ci pensa “Testina d’oro” Kocsis, con due colpi del suo repertorio di incornate, a rimettere le cose a posto, ma preziose energie sono state spese.
IL MITO SI DISSOLVE – Detto della medaglia di bronzo conquistata dall’Austria, contro un Uruguay distratto, l’attenzione si sposta su Berna, che sembra destinata a dover finalmente cingere la “squadra d’oro” con l’alloro dell’immortalità. Il mattino della finale sorge illuminando i dubbi del C.T. ungherese. La caviglia di Puskas, infatti, reclama il giusto riposo, ma non è possibile rinunciare all’apporto del capitano proprio per la gara più importante. Dopo otto minuti di gara i dubbi sembrano svaniti, visto che prima lo stesso Puskas e poi Czibor colpiscono due volte. Se c’è una squadra che ha nel suo D.N.A. la capacità di rialzarsi in certi momenti, però, questa è proprio la Germania. Già al decimo, infatti, Morlock accorcia anticipando il portiere in uscita e, otto minuti dopo, Rahn gira a rete con successo un corner dalla sinistra. Tutto da rifare, dunque, mentre la caviglia di Puskas inizia a tormentarlo, tanto da fargli sbagliare due facili occasioni, a tu per tu col portiere. I magiari continuano a restare padroni del campo, ma non sfruttano il gran numero di occasioni create. Anche sugli spalti, allora, inizia a insinuarsi il dubbio che la ruota della storia stia cominciando a girare all’inverso.
Il destino si compie a sei minuti dal termine, quando il campo allentato dalla pioggia ha reso il confronto meno tecnico e più adatto ai tedeschi. Bozsik perde palla in un contrasto con Schäfer, che mette in mezzo dalla sinistra per Rahn. Pur affrontato da un difensore, il numero 7 riesce a colpire la palla e a mandarla nell’angolino, imparabile per Grosics. Restano ormai pochi minuti, eppure Puskas riesce a segnare il gol del 3-3. Purtroppo per lui, però, partendo da una millimetrica posizione di fuorigioco ravvisata dal guardalinee. Finisce così, dunque, il sogno ungherese. Due anni dopo i carri armati sovietici invaderanno Budapest, costringendo quella generazione di fuoriclasse ad una triste diaspora all’estero. Mai più il calcio magiaro si avvicinerà nemmeno lontanamente a quelle vette. I tedeschi, dal canto loro, poche settimane dopo vengono colpiti da itterizia. Gravano forti sospetti su eventuali aiuti chimici, ma senza prove non resta che inchinarsi di fronte ai campioni del mondo.
IL CAMPIONE DEI CAMPIONI
Fritz Walter – Squadra senza grandi individualità, la Germania faceva perno su di lui, il primo “Kaiser” del calcio tedesco. Regista offensivo e vero e proprio allenatore in campo. Leader del Kaiserslautern, col quale nel dopoguerra conquistò due titoli nazionali, esordì in nazionale a 20 anni, nel 1940, per non lasciarla più. Chiuse con i mondiali del 1958, stabilendo il record di segnature (33) battuto solo un decennio dopo da Seeler e Muller.
TABELLINO DELLA FINALISSIMA
Berna, 4 luglio 1954
Germania Ovest: Turek, Posipal, Kohlmeyer, Eckel, Liebrich, Mai, Rahn, Morlock, O.Walter, F.Walter, Schäfer.
Ungheria: Grosics, Buzanszky, Lantos, Bozsik, Lorant, Zakarias, Czibor, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, Toth I.
Marcatori: 6’ Puskas(U), 8’ Czibor(U), 10’ Morlock(G), 18’ Rahn(G), 84’ Rahn(G).
PUNTATE PRECEDENTI:
-1950
-1938
-1934
Autore: Andrea Dipalo
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