Tre anni in biancorosso, per complessive cinquanta presenze, tra campionato e Coppa Italia. E tredici reti. Questo il rendimento dell’attaccante Luciano Gaudino in riva all’Adriatico, tra il 1978 ed il 1981. L’ex centravanti campano, originario di Pompei, racconta la sua esperienza in esclusiva ai nostri microfoni: “Quando arrivai c’era grande entusiasmo, era il primo anno dell’era Matarrese. La società aveva investito molto, e l’obiettivo dichiarato era quello di salire in A.”
La punta, proveniente dal Milan, fece una discreta annata, sul piano personale, capocannoniere della squadra con 6 gol, ma i risultati non arrivarono: “Cambiammo tre allenatori. Iniziammo con Santececca, che credeva molto nella rosa a sua disposizione. In effetti, le aspettative della piazza erano alte, e sentimmo la pressione. Bari non è una piazza come le altre, con 30 mila spettatori sugli spalti. Eravamo molto forti, ed io stesso avvertivo la responsabilità di dover per forza vincere. Cambiammo mister, ed arrivò Corsini, ma non ingranammo e precipitammo in zona retrocessione. I dirigenti decisero di mandarlo via, e scelsero Catuzzi, che ci condusse alla salvezza, gestendo alla perfezione il gruppo. Un’ottima persona ed un allenatore capace.”
L’anno dopo, il goleador venne confermato e cercò a tutti i costi di ripagare la fiducia dell’ambiente: “Con mister Renna, partimmo molto bene, eravamo in piena lotta per la promozione, quando, a dicembre, subii l’infortunio peggiore della mia carriera, contro il Verona. Rottura dei legamenti del ginocchio e stagione conclusa. Un mese dopo si fece male anche il mio compagno di reparto Giacomo Libera, e dovemmo abbandonare i sogni di gloria, accontentandoci di restare in B.”
Nell’ultimo campionato in riva all’Adriatico, con l’arrivo di Iorio e Serena, il reparto avanzato biancorosso si fece affollato: “Recuperai dal mio problema solo negli ultimi mesi del torneo, e diedi il mio contributo con 3 realizzazioni nelle ultime giornate. Ma non raggiungemmo la A nemmeno quella volta, nonostante il cambio tecnico che riportò in panca Catuzzi, e andai via. Credo che ogni componente, in quel triennio, fece degli errori, che purtroppo non ci consentirono di arrivare alla massima serie, nonostante l’impegno e la volontà di tutti.”
Sull’attualità, il sessantunenne non usa mezzi termini: “Ci vuole una decisione condivisa. Bisogna capire che la situazione è ingovernabile, al momento. Non puoi riprendere a giocare, finché c’è il rischio del contagio. Si tratta di un rompicapo senza soluzione. Non ha senso affrettare tutto. La cosa migliore, anche se a discapito dei tifosi e degli addetti ai lavori, sarebbe prolungare lo stop. Non è facile, ma bisogna essere realisti. Io, se fossi coinvolto direttamente, non me la sentirei di mettere in discussione la salute della mia famiglia per una partita di calcio. Ogni gara muove molti soldi, ma anche centinaia di persone, tra giornalisti, pubblico, dipendenti delle società, a vario titolo. Sarebbe tutto ingestibile, dobbiamo imparare a convivere con il virus, ma non bisogna prendere alla leggera un contesto in sé drammatico.”
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