Terminata questa pazza stagione, qualunque sia il risultato con il quale terminerà il campionato, l'ambiente Bari avrà bisogno di una lunga e seria riflessione. Virtualmente, ci sarà da portare dallo psicologo un'intera piazza per capire quali sono le motivazione di continue crisi che hanno minato l'intero corso dell'ultimo decennio.
In questo campionato il Bari è partita con ambizioni importanti e con la voglia di lottare per il primato, salvo poi sprofondare a causa di una inquietante discontinuità prima e di un clamoroso crollo verticale poi. Una cosa che dovrebbe far riflettere perché non rappresenta un unicum: basta alzare lo sguardo e tornare indietro nel tempo per scoprire quante volte questa situazione s'è ripetuta.
L'esempio lampante è dato dalle stagioni in Serie B targate Paparesta e Giancaspro. La situazione era pressocché simile all'attuale: grandi ambizioni, squadre (sulla carta) costruite per la A, ma poi continui fallimenti. Ed allora, se la storia può insegnare qualcosa, deve portare ad approfondire le cause serie di queste fatalità che, se ripetute con proprietà, gestioni ed allenatori diversi, sono sintomo di qualcosa di ben più profondo.
Anzitutto, forse per troppo tempo si è sopravvalutato il peso delle campagne acquisti. Prendendo le rose della B ed osservandole a posteriori, si nota facilmente come quasi tutti i componenti, dopo Bari, non abbiano saputo dare svolte alle proprie carriere finendo a vivacchiare fra B e C. Questo mette in discussione anche la gestione dei dirigenti, ruolo spesso non considerato prioritario: in questi anni s'è vista tanta improvvisazione, con gente di poca esperienza (Scala, per certi aspetti anche Antonelli) o scarsa conoscenza del calcio italiano (Zafmir).
Questo rappresenta sicuramente una priorità per l'immediato, perché la prossima stagione (qualunque sarà l'esito di questo campionato) va programmata ora con gente competente. Che sappia scegliere profili pronti, che sappiano anche gestire la pressione di una piazza difficile come quella barese: per evitare di incorrere in un altro limite costante, quello del crollo mentale della squadra.
Servirà guardare indietro, dunque, e riflettere: gli errori compiuti devono essere d'insegnamento. Perché la piazza non ha più voglia di aspettare.
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