Giuseppe Giusto, per tutti Pino, barese verace, ex centrocampista dei galletti, con all’attivo 54 gettoni in biancorosso in un triennio, dal 1984 al 1987, parla sempre con piacere dei suoi trascorsi con i colori della sua città. Protagonista sin da giovanissimo nel settore giovanile della squadra, racconta in esclusiva ai nostri microfoni i suoi ricordi con la maglia del club: “Avevo 9 anni quando ho iniziato, nelle giovanili del Bari. Mi hanno prestato al Monopoli, nel 1981. E dopo 3 anni in biancoverde, caratterizzati dalla vittoria del campionato di C2, sono tornato a casa.”
C’era Bolchi, in panchina, e la compagine barese, neopromossa in B, riuscì nell’impresa di salire in A al primo colpo: “L’anno della promozione in massima serie è certamente il più bello che ho vissuto, da calciatore professionista. Vivevo giorno per giorno le emozioni della tifoseria, la mia famiglia mi sosteneva. L’entusiasmo della piazza ci trascinò. Per un barese, è tutto più bello, quando si riesce ad ottenere risultati importanti, come facemmo noi. Ricordo il “Della Vittoria” sempre pieno, e fu un’ annata positiva anche sul piano individuale. Giocai 24 partite, più di quante me ne aspettassi, e segnai anche 2 gol.”
L’anno successivo, l’impatto con la categoria regina non fu semplice: “Il Bari mancava dalla A da ben 15 anni. Era un palcoscenico completamente diverso, e il grave infortunio di Cowans, che si ruppe il perone ad inizio stagione, condizionò pesantemente il nostro campionato. Era il calciatore più tecnico a nostra disposizione. Avevamo anche molti esordienti, in squadra. Giocai solo 4 partite, ma mi tolsi la soddisfazione di scendere in campo contro il Napoli di Maradona. Fummo sfortunati, e ricordo anche qualche arbitraggio discutibile, nei momenti decisivi dell’annata.”
I pugliesi retrocessero immediatamente, e a Bolchi successe Catuzzi: “Quell’anno in cadetteria partimmo bene, ci fu un appannamento nella parte centrale del campionato. Ventisei presenze, ed un buon rendimento, personalmente, però mancammo di poco la promozione. In estate, il mister mi chiamò e mi disse che avevano appena preso Maiellaro dal Taranto. Scelsi a malincuore di andare a giocare titolare a Barletta, invece di lottare con Pietro per un posto da titolare. Sono stato sostituito da un grande campione.”
Le strade di Giusto e dei galletti si incrociarono di nuovo con l’avvento di Paparesta alla presidenza, quando il tecnico venne chiamato a gestire gli allievi regionali, nel 2014: “Sono rimasto 3 anni. Ho allenato gli allievi regionali prima, quelli nazionali poi, ed infine l’under 16. Me ne andai l’anno precedente al fallimento, perché mi era stato promesso, da Giancaspro in persona, che mi avrebbero affidato la Primavera. Non rispettò la parola data, e lasciai l’incarico. In società filava tutto liscio, ma le voci che già allora giravano non erano rassicuranti.”
L’allenatore, oggi cinquantottenne, attualmente responsabile tecnico della scuola calcio “New Football Academy”, nel capoluogo pugliese, resta comunque un tifoso, interessato alle sorti del club dei De Laurentiis: “Questa sosta non ci voleva. Ora il problema da risolvere è il Coronavirus. Comunque, nelle categorie professionistiche sarà più facile riprendere perché, sul piano atletico, con la testa giusta ci si mantiene in forma facilmente, allenandosi in casa. A livello societario, ora il Bari può stare tranquillo. La prima squadra, quest’anno, ha avuto difficoltà sul campo. Il cambio in panchina è stato fruttuoso, ma c’è stata anche una rivoluzione nel modulo, e Vivarini ha avuto bisogno di un po’ di tempo per applicare il suo credo tattico. Resta il tallone d’Achille degli scontri diretti. Ora sarà davvero difficile gestire la situazione, e c’è il forte rischio che debbano inventarsi qualcosa, a livello regolamentare, per terminare la competizione”.
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